Cristallo-Pratica

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E’ un bluff oppure qualcuno mi spieghi perché funziona…

Cristalloterapia, ovvero cura attraverso o per mezzo dei cristalli (minerali); funziona davvero o si tratta di un retaggio della cultura pre-scientifica ri-vivificata da visioni new age e animistiche?

Qui non si tratta di capire se la cristalloterapia possa essere considerata una valida alternativa a tecniche di cura tradizionali; se si soffre di una qualsiasi patologia è necessario – in ogni caso – un serio confronto con uno specialista medico, prima di approfondire, se del caso, altri percorsi. Si tratta piuttosto di comprendere se tra l’uomo e il mondo minerale possa realizzarsi un qualche tipo di interazione.

Mettiamola così, qualche tempo fa, discutendo con una persona molto cara, mi sono reso conto che – per quanto ella accogliesse alcuni dei miei suggerimenti per migliorare il proprio benessere psicofisico di certi non ne comprendeva appieno il reale funzionamento. Trattandosi peraltro di una persona di particolare cultura e intelligenza ciò ostacolava non poco l’efficacia di alcuni degli strumenti suggeriti.

Nella fattispecie si discuteva dell’uso di un ciondolo di unakite, cui la persona in questione non riconosceva alcuna capacità di aiuto. Assuefatti al meccanicismo della cultura dominante, stentiamo purtroppo talora ad accogliere altre possibilità. Infatti nonostante pochi tra noi comprendano effettivamente come funzioni l’aspirina, l’investitura di farmaco “ufficiale” attribuisce a pochi grammi di acido acetilsalicilico, sodio bicarbonato e poco altro, infinite potenzialità taumaturgiche. I farmaci sono così diventati, in un certo qual modo, le pozioni magiche dei nostri tempi, sostituendosi a talismani e altri oggetti di potere.

Ecco quindi come un modesto frammento di turchese – ad esempio – da pietra magica e ricca di significati per molte culture, oggi può diventare solo un gradevole ornamento, al più dallo stile etnico e con qualche eco spirituale.

Tuttavia ciò che rappresentava questa pietra per i nativi americani, per restare nell’esempio, è intrinsecamente immutato e resta solo a noi la facoltà e la responsabilità di rientrarne in possesso. E, per fare ciò, a un operatore olistico  dei nostri giorni, interessato tanto a comprendere simili temi quanto a essere in grado di spiegarli efficacemente ai propri clienti, si può suggerire di approfondire un po’ di più le dinamiche profonde dell’iterazione energetica, piuttosto che iniziare a parlare immediatamente di energie sottili, corpo aurico o altro ancora; tale atteggiamento, in realtà, non farebbe che ricalcare l’abuso del gergo tecnico già invalso in pressoché tutti i campi della nostra attuale cultura, fin dai tempi del latinorum di manzoniana memoria, e assai probabilmente pure prima…

Proviamo invece ad affrontare questo tema in modo razionale e, per fare questo, occorre prima compiere una piccola digressione sulla nozione di materia. Già perché nessuno di noi potrebbe dubitare che un pezzo di quarzo, o di qualche altra pietra più esotica, siano qualcosa di materiale.

L’immagine corpuscolare della materia ha origini antichissime. L’idea che tutto sia composto da qualche genere di materia minuscola si deve a Leucippo di Mileto (prima metà del V secolo a.C.) e al suo allievo più famoso, Democrito di Abdera (460-3700 a.C.). Da qui nasce, secondo alcuni, ogni forma di riduzionismo scientifico.

Tuttavia non va dimenticato che in pari epoca si comprese che in un universo composto da atomi di dimensioni infinitesimali, il vuoto fosse importante quanto il pieno. Aristotele di Stagira parla di “essere” e di “non-essere” (anticipando con una intuizione geniale, seppur in buona misura plausibilmente inconsapevole, concetti avanzatissimi come quello dell’anti-materia) e poco più tardi Diogene Laerzio (180-240 a.C.) riferisce, nel suo “Vite dei filosofi”, come per Democrito e Leucippo i “princìpi di tutte le cose sono gli atomi e il vuoto, e tutto il resto è apparenza soggettiva”.

In realtà, dal punto di vista logico, ancor prima che fisico, pieno e vuoto possono esistere solo come una equilibrata antinomia; senza l’uno non potrebbe esservi l’altro infatti. Una visione dualistica che ha tanti risvolti, noti e meno noti, in tanti ambiti.

Tuttavia l’horror vacui ha sempre atterrito le menti umane, persino quelle più illuminate; non stupisca quindi che lo stesso Aristotele, astronomo e osservatore della natura di eccezionale livello, allora come oggi, stentasse ad accettare il concetto di vuoto, perennemente alla ricerca della perfezione universale come espressione di somma armonia, equilibrio e simmetria.

Nel tempo si è però “visto” che effettivamente la materia è composta da particelle piccolissime, appunto definite atomi. Questi, a loro volta, sono costituiti da un nucleo – fatto di protoni e neutroni – intorno al quale “ruota” uno o più elettroni; si tratta, nell’immaginario collettivo, di microscopici sistemi solari in cui il nucleo di particelle positive e privi di carica (protoni e neutroni) sostituiscono il sole, mentre gli elettroni diventano i pianeti che vi ruotano attorno. Le virgolette impiegate tuttavia qui sono d’obbligo… infatti l’osservazione del funzionamento degli atomi mise presto in evidenza come gli elettroni non seguissero orbite predefinite come Newton ci aveva abituato per i corpi celesti. La loro traiettoria appariva piuttosto erratica e imprevedibile e la loro caratteristica fondamentale era invece la distanza che gli elettroni mantenevano dal nucleo. Ridurre a poche righe un tema che ha appassionato i fisici di tutto il mondo per decenni, portandoli a rivoluzionare profondamente la comprensione della materia, è – molto probabilmente –  davvero imperdonabile; tuttavia nel nostro breve cammino concentreremo la nostra attenzione sull’ultima delle caratteristiche innanzi accennate e cioè la distanza di un elettrone dal nucleo.

Ma quanto dista un elettrone dal nucleo? Beh, invece di parlare di misure dell’ordine di 10-11 metri (questa è il raggio tipico di una traiettoria di un elettrone attorno al nucleo) forse sarebbe più efficace fare un esempio pratico con oggetti di uso più comune.

Se dunque potessimo ingrandire un nucleo atomico fino a fargli assumere le dimensioni di una mela, tipicamente dal diametro dai quattro ai sei centimetri, dovremmo spostarci di circa un chilometro prima di incontrare la prima orbita utile per i nostri elettroni; immaginando così un atomo particolarmente semplice come l’idrogeno – forse non a caso l’elemento più diffuso su scala universale – scopriremmo che è composto dalla nostra mela (il nucleo) e, a circa un chilometro di distanza, da un solo elettrone che, per la cronaca, è talmente piccolo che si stenta a riconoscerne sia dimensioni sia massa. Si tratta dunque di uno spazio enorme occupato da pochissima materia. Il rapporto tra pieno e vuoto infatti è pari è pari a 10-12, ovvero a un milionesimo di milionesimo!

Dunque la materia è per lo più “vuota”… non deve stupire se questa considerazione lascia sbigottiti i nostri ragazzi che si affacciano alla fisica; si è infatti impiegato un bel po’ di tempo per comprendere come fosse allora possibile che due pezzi di materia si respingessero reciprocamente venendo a contatto, piuttosto che fondersi a livello atomico, come l’enormità dello spazio vuoto potrebbe indurre a pensare.

La soluzione fu trovata da Max Planck con una scoperta che, nel 1918, non per nulla gli valse il Nobel per la fisica e che è riassumibile dalla sua famosa affermazione “La materia non esiste, tutto è vibrazione!”; una intuizione davvero illuminata, come si capirà alla luce delle scoperte successive a quelle della fisica quantistica…

Se, infatti, la forza nucleare forte è responsabile della tenuta dei nuclei (cioè fa sì che protoni e neutroni non si sfaldino, pur in assenza di iterazioni elettromagnetiche) la solidità degli atomi nel loro complesso si deve all’elettromagnetismo stesso. Quelle “orbite” degli elettroni cui prima si faceva riferimento sono in effetti dei veri e propri campi elettromagnetici. L’idea che gli elettroni definiscano, insieme alla carica dei protoni, il campo elettromagnetico degli atomi è fondamentale per la comprensione della materia e delle iterazioni subatomiche. In termini esageratamente semplificati, un campo può essere definito come l’insieme dei valori che una grandezza può assumere in ogni punto di una determinata regione dello spazio. Nel nostro caso, quell’area posta a circa un chilometro dalla mela e sottile quanto può esserlo solo un elettrone, è il campo elettromagnetico del nostro atomo di idrogeno ingrandito.

La nozione di campo diventa indispensabile per comprendere le dinamiche tra oggetti complessi, tra cui le iterazioni diventano così numerose e fitte da diventare come la trama di un tessuto compatto, piuttosto che singoli filamenti indipendenti l’uno dagli altri.

Immaginiamo dunque un campo non come un’orbita, lungo la quale corre un corpo fisico, quanto piuttosto come l’insieme dei valori elettromagnetici che l’elettrone può assumere in ogni punto di quella porzione di spazio. Per evitare il decadimento conseguente all’emissione di una radiazione elettromagnetica, che porterebbe al collasso degli elettroni nel nucleo, bisogna ricorrere ad alcuni principi di meccanica quantistica che tuttavia non affronteremo in questa sede. Basti solo comprendere che, grazie ad alcuni principi, l’elettrone descrive nel tempo un cosiddetto orbitale, ovvero una densità di probabilità nello spazio attorno al nucleo. Allo stesso modo, nel caso di molecole composte da più atomi, la regione tra i nuclei dei singoli atomi è popolata dagli elettroni con una probabilità data dagli orbitali molecolari, che possono determinarsi combinando gli orbitali atomici.

Risalendo via via lungo la scala delle dimensioni della materia, a livello macroscopico, come sperimentiamo in ogni istante della nostra vita, la materia si presenta poi in stati di aggregazione solido, liquido ed aeriforme, a seconda dell’intensità delle forze di coesione che la caratterizzano. La coesione è una forza di natura elettrostatica che tende a tenere unite le molecole di una certa sostanza, opponendosi a forze esterne che invece tendono a separarle e a deformare la sostanza.

Ma cosa c’entra questo con la cristalloterapia? Ancora un poco di pazienza…

Per capire come i nostri amati cristalli possano interagire con il resto della materia – quale anche noi siamo – dobbiamo spingerci ancora un po’ più in profondità, aumentando l’ingrandimento del nostro microscopio immaginario e cercando di osservare la materia nella sua natura più intima, ovvero al di sotto degli atomi. Si parla appunto di fisica sub-atomica per definire lo studio delle particelle più piccole degli atomi. In realtà tre di esse le abbiamo già incontrate, sono i protoni, i neutroni e gli elettroni, ma lo zoo delle particelle elementari è molto più nutrito, e sembra sempre pronto ad accogliere nuovi ed esotici animali, ciascuno con peculiarità proprie e utili al funzionamento della materia e dell’universo (o meglio alla nostra comprensione di esso).

Si parla infatti di quark, di leptoni, di adroni, di mesoni e barioni ma anche di gluoni, di bosoni, di fotoni e di gravitoni e l’elenco sembra non fermarsi mai, ingrossando le sue fila ogni volta che occorre trovare il responsabile di qualche effetto o iterazione.

C’è stato allora qualcuno (più d’uno in verità) che si è posto questa domanda: e se vi fosse qualcosa di più radicale per spiegare il funzionamento della materia in maniera definitiva, elegante e senza ricorrere a questa pletora di particelle?

Anziché cercare l’ennesima nuova particella si sono pertanto concentrati sull’ipotesi che potesse esservi qualcosa di ancora più piccolo e sfuggente capace però di definirle tutte; è da questo assunto – più o meno – che è nata l’idea della cosiddetta teoria delle stringhe. Sono, queste, entità prive di materia – nell’accezione corpuscolare che comunque connota la visione del modello standard e del suo ricco bestiario di particelle – ma composte essenzialmente solo da energia vibrante.

La variabilità della loro forma e della loro vibrazione sarebbe – secondo questa ipotesi – in grado di differenziare ogni tipo di particella e quindi conseguentemente di materia. A distanza di cinquant’anni dal Nobel di Plank, l’italiano Gabriele Veneziano intuì l’esistenza delle stringhe ma ci vollero altri due anni perché alcuni fisici riuscissero realmente a svilupparne la teoria. Poco tempo dopo, nel 1974,  John Schwarz e Joël Sherk modificando i modi di vibrazione delle stringhe ottennero una particella con spin pari a 2, ovvero il gravitone. La strada era, per così dire, spianata, ma solo dopo altri 10 anni, Michael Green e John Schwarz spiegarono attraverso le stringhe praticamente tutti i fenomeni di interazione della materia, attraendo definitivamente l’attenzione della comunità scientifica e ridefinendo, probabilmente una volta per tutte, l’idea stessa che abbiamo della materia; non più corpuscoli minuti che si agitano nell’aria, quanto piuttosto una diffusa sinfonia di vibrazioni.

Lo stesso Planck, vicino alla sua fine terrena, scrisse “Avendo consacrato tutta la mia vita alla Scienza più razionale possibile, lo studio della materia, posso dirvi almeno questo a proposito delle mie ricerche sull’atomo: la materia come tale non esiste! Tutta la materia non esiste che in virtù di una forza che fa vibrare le particelle e mantiene questo minuscolo sistema solare dell’atomo. Possiamo supporre al di sotto di questa forza, l’esistenza di uno ‘Spirito Intelligente e cosciente’. Questo Spirito è la ragione di ogni materia”; si tratta forse di un’altra mirabile intuizione?

Sta di fatto che, a distanza di non meno di quattromila anni, la fisica occidentale ha trovato le tracce dell’etere induista; l’akasha è infatti il termine per indicare l’essenza base e primaria di tutte le cose del mondo materiale, la cui funzione intrinseca, al pari dello spazio – il non-essere aristotelico – era quello di far esistere tutte le cose al proprio interno. Akasha è la quintessenza, il substrato di Shabda cioè del suono, ovvero della vibrazione per antonomasia…

Dunque, tornando al nostro tema, tutto vibra; tutta la materia è anzi essa stessa una forma di complicatissima vibrazione. E come il nostro corpo, ovvero gli atomi che compongono le molecole che tutte insieme chiamiamo “corpo”, anche i cristalli – oggetto di questo piccolo approfondimento – vibrano. Le frequenze determinate dai modi della vibrazione delle stringhe definiscono le frequenze vibrazionali della materia che compongono. Quando un sistema oscillante (qualsiasi cosa che vibra) viene sottoposto a sollecitazioni periodiche di frequenze pari all’oscillazione propria del sistema stesso si verifica il fenomeno detto “risonanza”.

L’esempio più facile da riprodurre – e, almeno personalmente, da comprendere – è quello di una coppia di diapason; le oscillazioni prodotte dalla percussione di un diapason inducono un identico diapason a vibrare e, quindi, a riprodurre la medesima frequenza. Questo fenomeno ha una valenza fondamentale nel nostro ragionamento perché oltre ad essere il motivo per cui non sprofondiamo nel nulla quando ci appoggiamo a una sedia, spiega anche come si possa realizzare l’iterazione con i cristalli.

Al pari di ogni altra “cosa” dell’universo, rocce e cristalli vibrano e ciascuno di questi lo fa a particolari frequenze. Queste possono, al pari di ogni altra vibrazione, creare – o non – effetti di risonanza con qualsiasi altra “cosa”, noi compresi.

Evidentemente il meccanismo complessivo è un po’ più complicato di quanto non sia sintonizzare la radio sulle frequenze della nostra emittente preferita. Talmente complicato, in realtà, che non si dispone di alcun strumento in grado di misurare le frequenze di una complessità inimmaginabile connesse a tutti i sistemi (atomici, molecolari, organici ed energetici) che insieme definiscono un corpo umano.

Tuttavia in questa ricerca c’è chi ha seguito una via differente. Come per l’agopuntura, l’ayurveda e la medicina tradizionale cinese, per millenni la sperimentazione ha sostituito la dimostrazione. Quando i medici occidentali andarono alla ricerca dei meridiani energetici, che l’evidenza dei fatti rendeva così utili nella trattazione del dolore, non trovarono nulla, deducendone che questi in realtà non esistessero; in verità qualunque praticante della mtc rispondeva loro che non potevano trovarli semplicemente perché non erano “materiali”, ma rappresentavano canali di risonanza energetica, flussi in cui l’energia creava effetti di risonanza.

Minerali (e ancor più i cristalli) lavorano anch’essi in questo modo. La loro frequenza – determinata (e determinante) dalla loro struttura molecolare ed atomica – può creare un effetto risonanza con alcune parti del nostro corpo. E, in assenza di riscontri scientifici, per così dire, la cristalloterapia si avvale dell’esperienza maturata nel corso dei millenni dagli uomini di ogni latitudine. Non esiste luogo del pianeta, infatti, ove ad alcune pietre non venisse riconosciuto un potere specifico. Tuttavia, se queste capacità nel tempo non possono cambiare, dipendendo dall’iterazione profonda tra elementi materiali ed energetici, ciò che è davvero cambiato siamo noi.

Già perché due sono gli elementi che collaborano alla definizione dell’efficacia complessiva di un minerale ed ovvero le sue proprietà intrinseche e il suo valore simbolico. Se il primo è per sua natura immutabile, altrettanto non può dirsi del secondo.

Questo infatti dipende profondamente del contesto culturale in cui lo strumento viene impiegato. Attribuire a uno strumento qualsiasi (dalla scheggia di ametista al farmaco chemioterapico) proprietà medicinali e curative significa riconoscergli sinceramente la capacità di interagire con il funzionamento del nostro corpo. Se pensiamo che l’ametista non sia altro che un bel cristallo dai riflessi violacei, difficilmente potremmo beneficiare dei suoi effetti riequilibranti, anche a discapito delle sue intrinseche facoltà; queste infatti saranno implicitamente (e in modo trasparente) ostacolate da una forma di energia di pari dignità (anzi superiore) cioè quella di cui tutti gli esseri viventi vivono e producono.

Ciò non significa che l’effetto placebo derivante dalla fiducia nelle capacità di un minerale sia il vero attore nei processi curativi, quanto piuttosto che laddove il soggetto ostacoli (seppur involontariamente) il fenomeno di risonanza, la pietra in argomento non potrà produrre appieno i propri effetti.

Va poi osservato come nel ricorso consapevole alla cristalloterapia non possiamo dimenticare – a pena di vanificarne i possibili benefici – come ciascun minerale possa avere effetti estremamente diversificati. Facciamo un esempio paradossale; se qualcuno desiderasse un energizzante naturale potrebbe certamente trovare utile ricorrere a qualche tipo di estratto di ginseng. Tuttavia dovrebbe anche accertarsi delle proprie condizioni generali di salute, in quanto un uso inadeguato di questa meravigliosa radice potrebbe avere spiacevoli effetti, tra l’altro, sul sistema circolatorio e nervoso. Allo stesso modo dobbiamo imparare a diffidare di ricette preconfezionate sull’impiego dei cristalli.

Salvo che non li si consideri dei meri pezzi di materia colorata, privi di ogni valore intrinseco o simbolico, agiamo con prudenza e rivolgiamoci, per il loro uso, solo a operatori qualificati che possano consigliarci lo strumento migliore per quella singola circostanza!

Inoltre pare doveroso soffermarsi qualche istante sulla profonda differenza che tuttavia insiste tra l’impiego di un rimedio allopatico  (aspirina) ed uno energetico (cristalli). Ciascuno di essi ha pro e contro che vanno sempre considerati e che, spesso, inducono a ritenere la seconda via complementare alla prima.

Un rimedio allopatico, come un farmaco, agirà a livello biochimico sul funzionamento delle molecole target (obiettivo principale e secondario). L’effetto così prodotto, a propria volta, si ripercuoterà a livello atomico e subatomico andando infine a modificare il modo vibrazionale delle stringhe che sottendono alla definizione della materia interessata dall’azione del farmaco. L’effetto sarà quindi veloce, spesso rapidamente percepibile ma anche portatore di inevitabili effetti collaterali, seppur non necessariamente nefasti. Un cristallo invece – al pari di altri strumenti a vocazione olistica e di tipo energetico – agirà per così dire dal basso, andando a interagire direttamente con le frequenze vibrazionali delle stringhe che solo successivamente andranno a modificare, a partire dal livello sub-atomico, il funzionamento biochimico delle cellule attraverso lo scambio energetico che ne sarà l’effetto finale. Il feedback sarà quindi generalmente più lento seppur più profondo e solo apparentemente debole ma, attenzione, necessariamente non privo di effetti collaterali, tanto a livello energetico quanto biochimico; anch’essi, ovviamente, non necessariamente negativi ma comunque da prendere in considerazione e da tenere sotto controllo.

Da ciò deriva l’impiego assai più agevole – nell’uso comune – di strumenti allopatici anche se questi, in linea di massima, tendono ad occuparsi dei sintomi di una condizione patologica piuttosto che cercare di riequilibrare le disarmonie energetiche presenti in tutti noi. Non è infatti un caso se anche in oriente, patria di culture mediche alternative millenarie, si sia ormai consolidato la medicina occidentale. Essa da senza dubbio ottimi risultati in tempi assai ragionevoli e, soprattutto, in genere non richiede necessariamente una partecipazione attiva del “paziente” ne per definire la terapia ne per determinarne l’efficacia.

Va considerato, infine, che come ogni sistema complesso, anche quello cristallino è in grado di “assorbire” le vibrazioni provenienti dall’esterno; a ciò si deve, per esempio, la capacità di alcuni minerali di “proteggere” da campi elettromagnetici o altre forme di vibrazione. Si tratta, a onor del vero, di un sistema di comunicazione assai complesso, in cui ciascuno dei suoi componenti (l’uomo, la terra, gli animali,…) invia molteplici segnali e altrettanti ne riceve, in un dialogo musicale di complessità cosmica. Forse un giorno disporremo di strumenti che ci consentano di vedere più chiaramente gli spartiti che sorreggono questa sinfonia energetica ma, nel frattempo, non ci resta che affidarci alla sperimentazione; quella maturata nel corso dei secoli da ogni popolo ma anche quella che deve affrontare personalmente chi voglia cimentarsi su questi affascinanti sentieri.

In conclusione, assodata la possibilità di una reale interazione tra l’uomo e il mondo minerale, non resta che aprire ad essi tutti i nostri sensi – e la nostra mente – per riscoprire un potente alleato per il nostro benessere.

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